Cento anni di Rossana Rossanda, un ricordo di Lidia Campagnano

venerdì 19 Aprile 2024

Cento anni di Rossana Rossanda, un ricordo di Lidia Campagnano

Non è facile separare nella memoria i sentimenti personali – gli affetti – dal senso di una presenza politica e culturale così rilevante: c’era Rossana e c’era Rossanda, indivisibili. C’era il progetto politico (quello del Manifesto e della sua splendida rivista) al quale aderire a vent’anni, riconoscendosi in un mondo di ideali e in uno stile dell’agire, in una cultura e in un linguaggio (fortunatamente inimitabili). E c’era lei, una leader.
E c’è stata la crescita di un’amicizia: quel riconoscersi in parole e cose quotidiane convissute, stili di vita diversissimi per mille motivi ma comunicanti, gioie e dolori, fronteggiamenti e reciproche consolazioni e persino pubbliche liti politiche.
La luce del tramonto entrava dalla finestra mentre lei cucinava un’orata. La luce di un palcoscenico la avvolgeva in un teatro milanese mentre lei evocava come nessun altro sapeva fare la persona di Salvador Allende, il riformista che si era fatto ammazzare per il suo Cile. Se incomincio così, il ricordo di Rossanda che la Casa mi ha chiesto, è per rendere da subito l’idea che attorno c’era un mondo dove già il personale era politico e il politico era attraversato sempre di più dalle questioni personali, interpersonali e oggi diremmo
antropologiche (“le contraddizioni fondamentali, cari compagni, sono DUE: capitale e lavoro, uomo e donna”).
Inoltre il ricordo dell’affetto che si creò tra noi mi aiuta ad accogliere come eredità una questione da lei più volte sollevata: quella del fallimento di un Noi in grado di cambiare il mondo: questa tela lacerata che noi siamo, come ha scritto nella prefazione a Le altre. Oggi a lacerarsi sembra essere la tela stessa di ogni possibile convivenza e intanto precipita la guerra e la questione della produzione di un Noi appare nella veste di una dura urgenza: senza politica, ha scritto Rossanda, la storia è un orrore. Ed è l’orrore che ci
circonda, lo sterminio che avanza, l’indifferenza di fronte alla disuguaglianza più feroce, l’incuria e la stupidità nei confronti dell’ambiente di cui l’umanità vive. Alla fine degli anni Settanta, di fronte allo stordimento di una generazione – la mia, detta sessantottina – al suo andare alla deriva (lotta armata da un lato, un impennata di suicidi e di altre autodistruzioni dall’ altro, e un dolore individuale che parlava di una inadeguatezza delle persone di fronte alle loro stesse alte aspirazioni politiche) Rossanda cercava il perché
di tanta fragilità in quell’idea e quell’esperienza della persona e dell’individualità della quale era esperta lettrice e studiosa, come dimostrano i suoi scritti sull’arte, sulla letteratura, sul cinema e come mostra il suo personale linguaggio e scrittura. Doveva la sua formazione giovanile alla scuola filosofica milanese, in particolare ad Antonio Banfi. Ma ora quel perché lo cercava con la lente del suo femminismo mai pacificato, refrattaria com’era alle certezze dogmatiche, ai trionfalismi, alle ricette miracolose della differenza, ma
curiosa e ansiosa di dialoghi e di contrasti (forse nel senso musicale, cioè creativo). E alla fine, incantata dal continuo fiorire di lotte da parte delle giovani donne.
Cercava e cercava. Sempre. Con una disciplina da lavoratrice rigorosa e ordinata (“l’emancipazione voi femministe non l’avete capita bene”). Come rigorose e ordinate e belle erano le molte case nelle quali ha abitato e ha ospitato, con comode scrivanie per chiunque. L’ultima sua dimora su un Lungotevere – quella che non ha abitato per trasferirsi a Parigi e consentire al marito Karol, divenuto cieco e disperato, di avere
maggiore familiarità con le cose attorno – aveva una sala piuttosto grande con grandi tavoli e sedie. “Ma qui si possono tenere delle riunioni!” ho commentato. Ricordo, in risposta, il suo sorriso, tra il divertito e il malizioso: la sua energia e un’etica che non consente di diffondere lamento, amarezza o rinuncia. Una bella eredità su cui, appunto, “lavorare”.

Lidia Campagnano
Milano, 14 aprile 2024