Da Gaza with Love!

mercoledì 13 Luglio 2022

di Alessandra Mecozzi

…Gaza non è la città più bella.
Il suo litorale non è più blu di quello di altre città arabe.
Le sue arance non sono le migliori del bacino del Mediterraneo.
Gaza non è la città più ricca.
(Pesce, arance, sabbia, tende abbandonate al vento, merce di contrabbando,
braccia a noleggio.)
Non è la città più raffinata, né la più grande, ma equivale alla storia di una nazione.
Perché, agli occhi dei nemici, è la più ripugnante, la più povera, la più disgraziata,
la più feroce di tutti noi…

Queste parole di Mahmoud Darwish – Silenzio per Gaza – mi tornano in mente ogni volta che sono a Gaza: terra indomabile e coinvolgente, per I sorrisi e l’ospitalità, per le strade affollate e povere, per il suo mare dove si divertono i ragazzini. Per chi è da 15 anni costretto in questa striscia di terra, a causa del blocco imposto da Israele dal 2007 (arrivo al governo di Hamas), avere la possibilità di incontrare un pezzo di mondo è un’occasione da non perdere! Parlare, raccontare, chiedere, sapere…saranno tre giorni lunghissimi e fertili.

Nel Forum delle Donne del 4, 5 e 6 giugno, ne abbiamo incontrate tante, una scoperta straordinaria, possibile grazie a Meri Calvelli, direttora del Centro Vik di Gaza (scambi culturali Italia-Palestina), con l’aiuto di Sami (ottimo interprete italiano/arabo per i tre giorni) e Mohammed che ci hanno “assistite” in questo tempo. La rete di Gaza Free Style è stata la protagonista dall’Italia. Gabriella Rossetti ed io, per la Casa Internazionale delle Donne di Roma, siamo entrate a Gaza il 3 giugno, attraversando i 3 check points di Israele, ANP, e Hamas. Venivamo da alcuni giorni di viaggio e incontri in Cisgiordania, a Gerusalemme est, Ramallah, Jenin e Haifa, dove abbiamo intervistato donne di generazioni diverse. 

L’albergo, anche sede del Forum, è stata una bellissima sorpresa. Si chiama Al Mathaf (museo) e espone una collezione privata archeologica. Abbiamo visto pezzi antichi su ogni piano, insieme a dipinti moderni. Un grande giardino era luogo di incontri la sera.

Il Forum si svolge in plenaria (il primo e l’ultimo giorno) e nelle sedi delle diverse associazioni con gruppi di lavoro (workshops) il secondo giorno. È aperto agli uomini solo l’ultimo giorno.

4 giugno – Sessione Plenaria.

L’apertura è in una sala gremita di donne, in prevalenza giovani sia le italiane che le palestinesi. Il gruppo italiano è di circa 70 persone, ragazzi e ragazze in prevalenza, quasi tutti per la prima volta a Gaza e in Palestina. Le palestinesi sono più del doppio! Un evento straordinario. ed emozionante. Le associazioni palestinesi che partecipano sono 7. Grande curiosità reciproca.

Dopo il benvenuto e la presentazione di Meri, vengono proiettati videomessaggi di solidarietà di donne di molte parti del mondo. Colpisce in particolare quello della donna afghana, per la vicinanza della drammatica situazione vissuta. Applausi, anche al messaggio di Maura Cossutta, presidente della Casa Internazionale delle Donne, a cui ci collegheremo nel nostro intervento. L’idea di una Casa delle Donne a Gaza è nel programma e circola nel forum. Il seme è gettato, si vedrà se e come può nascerne una pianta…

Si alternano gli interventi di palestinesi e italiane. Comincia Aisha, associazione con la quale da tempo lavorano anche donne italiane, (Gianna Urizio e Sancia Gaetani di Gazzella). Hanno tre programmi: democrazia, donne prigioniere e lavori delle donne.  Allo spegnersi della luce (succederà frequentemente…) scatta un corale WELCOME TO GAZA! Le interruzioni saltuarie di corrente sono un grande problema, che viene affrontato, quando possibile, con generatori. 

Raja, di Milano della rete Gaza Free Style, pronuncia parole forti e affettuose “non ci stiamo a lasciarvi sole“.  Ricorda la forte solidarietà palestinese espressa all’Italia durante la pandemia. Azhar, per l’Associazione di Donne Palestinesi per lo Sviluppo, presente in tutte la striscia di Gaza con timbro fortemente sociale, parla della creazione di cooperative, del sostegno alle donne più emarginate. 

Dopo il saluto di Francesca, interviene l’Associazione Creative Women, che lavora soprattutto su cultura e creatività, incoraggiando e sostenendo le donne che vogliono cimentarsi su questi terreni. Parla del terribile attacco militare israeliano dello scorso anno che ha fatto molte vittime e danneggiato pesantemente anche la loro sede, e molte case nella stessa strada. Un obiettivo è dare alle donne possibilità di lavoro (la disoccupazione sfiora il 60%, e per le donne di più). Producono bellissimi lavori con il tradizionale ricamo palestinese (il tatreez). 

Di diritti umani e questioni legali, di legge sul lavoro da cambiare, parla Mona del Centro per la democrazia e i diritti del lavoro, che lavora con avvocate e sindacati.

Dopo i saluti di Valeria, Aurora e Meriam, ascoltiamo un gruppo interessantissimo: We Are Not Numbers che, come racconta Walaa, è nato dopo l’attacco militare molto pesante del 2014. La loro attività è incoraggiare/aiutare le donne a raccontare, scrivere – anche in inglese – le proprie esperienze e riflessioni. Trasmettere al mondo una diversa narrazione, il progetto diretto da giovani, è nell’ambito dell’Euro-Mediterranean Human Rights Monitor.

“Quando il mondo parla di palestinesi che vivono sotto occupazione e nei campi profughi, di solito è in termini di politica e numeri, in particolare quanti sono stati uccisi, feriti, rimasti senzatetto e/o dipendenti dagli aiuti. Ma i numeri sono impersonali e spesso paralizzanti. Ciò che non trasmettono sono le lotte e i trionfi personali quotidiani, le lacrime e le risate, le aspirazioni così universali che se non fosse per il contesto, risuonerebbero immediatamente praticamente per tutti.”

La Union of Palestinian Women’s Committees mira a migliorare lo status delle donne palestinesi, a garantire uguaglianza tra uomini e donne e giustizia sociale per tutta la società mentre Girls in Green Hopes Gaza è un progetto della Ong di Meri Calvelli, ACS (Associazione Cooperazione e Solidarietà) realizzato su un grande spazio abbandonato con il sostegno della Cooperazione italiana. C’è, poi, il circo, Skate Park, campi sportivi e per giochi di bambini, alberi, una serra per orti comunitari e piccoli chioschi per attività produttive, coffee shops…

Emi e Cecilia, le più giovani del gruppo, saranno le ultime a parlare.

A conclusione della mattina, l’intervento appassionato di Mariam Abu Dakka, Presidente del PDWS, famosa storica combattente palestinese, una vita di lotte, militanza, politica, economica e sociale, un esempio di resistenza per tutte. “Molte donne insieme possono cambiare il potere!

Il pomeriggio viene occupato da una attività sulla violenza: “I panni sporchi si lavano in piazza“. Ognuna scrive su un post-it che cosa è secondo lei la violenza, e racconta in un cartoncino a forma di indumento un episodio subito o raccontato di violenza e lo appende ad una cordicella con una molletta. Prevale una bella atmosfera che si consoliderà nei giorni successivi, passando attraverso i contatti più ravvicinati dei gruppi di lavoro del secondo giorno, le chiacchiere in giardino, i pranzi insieme…

5 giugno – Workshops e Incontri

Gabriella di We Are Not Numbers ci racconta che ci sono tre giovani donne dello staff, dieci provenienti da altre organizzazioni. Scrivono racconti e fanno video, documentari e foto. Sono accompagnate da tutorial a distanza. Famose scrittrici e scrittori americani rileggono i testi e danno consigli. Una formazione locale si cura delle scritture specialistiche utili per compilare rapporti e progetti.

La presidente ha studiato per quattro anni in Polonia, ama la fotografia e la scrittura. Le altre sono tutte studentesse di letteratura anglo americana.

L’animatrice italiana del workshop su “Rappresentazione delle Donne” scopre che le palestinesi sono abili fotografe, semi professioniste, e deve modificare l’approccio previsto. Il tema è la rappresentazione di sé e dell’altra. Prima con macchine digitali poi con analogiche senza usare il ritratto tradizionale. Una ragazza ha già fatto due documentari sull’acqua e sulla città.  Si fotografano con grande libertà e inventiva. Poi nella discussione emerge il tema LGBTQ, per la prima volta, e si nomina un incontro il mercoledì in un luogo segreto di donne “interessate”.

Dopo ci rechiamo al Campo delle Fragole, Il più vasto terreno coltivato a fragole nella striscia di Gaza. Siamo a Betlahia, il progetto di collegare le produzioni di frutta ad una gelateria dovrebbe decollare “prima o poi”. Le fragole sono esportate nella West Bank ma risultano come prodotto di Israele. Un unico proprietario è l’organizzatore delle visite. Siamo accolti sotto una tettoia, fresca e ventilata in mezzo ai campi. Si lamenta l’urbanizzazione che toglie terra, ma si racconta anche il sogno della autonomia alimentare, possibile forse se ci si riappropria dell’acqua che ora è sotto controllo prevalentemente israeliano e necessita di interventi di desalinizzazione. FAO, Overseas e Coop.It danno aiuti anche con impianti di energia solare e di water-harvesting.

Ci rechiamo a visitare la Città Vecchia e il Mercato.

Camminiamo nelle strade di un mercato povero e triste con prodotti scarsi. Siamo una eccezionale attrazione. Nel cortile della antica moschea (già tempio zoroastriano, poi chiesa cristiana in tempi alterni) siamo noi ad essere fotografate, circondate da bambini tenuti a bada da un imam amichevole. La parte più moderna del mercato ci proietta in una folla di manichini femminili vestiti dal nero assoluto al lamè con brillantini. Niente folklore né artigianato locale: cose per turisti qui non ci sono più da un pezzo. I nostri devono ripiegare sugli attrezzi per falafel e accontentarsi di un giro in un bel bagno turco in pietra con foto di Arafat, che era stato qui una volta.

Alessandra di Creative Women’s Association. Incontriamo donne molto giovani, anche di altre associazioni. Sono proprio loro a cominciare: una sedicenne chiede che gli uomini lascino la stanza, dove si parlerà di femminismi, palestinesi e italiani, tema previsto che si intreccerà con quello della guerra dello scorso anno.  Questa sede si trova nella strada bombardata, con molte vittime. Parla, piangendo, una donna che ha perso marito tre figli oltre alla casa. Un’altra ha perso la madre, un’altra ancora ha avuto la scuola bombardata. Ma soprattutto le più giovani insistono sul dover reagire, non parlare da vittime e basta.

Nisreen ha 16 anni, dice che il punto è cercare di liberare le teste! Subito dopo la distruzione dello scorso anno ha lanciato sui social una iniziativa: “Trauma free Gaza” che prima è stata una occasione di discussione, con 150 persone interessate, poi uno strumento di informazione con psicologi ed esperti. “Ho deciso di fare io il cambiamento che volevo vedere…dare possibilità di avere informazioni e consigli“.

Altre ci parlano della cultura e dell’arte come strumento contro la violenza sulle donne, tema ricorrente come quello del respingere la rappresentazione di sé come vittime e di unirsi come donne in un femminismo globale. La cultura tradizionale è l’ostacolo maggiore, emargina le donne mentre in realtà sono le più forti, quelle con più responsabilità, nella guerra e nella vita quotidiana. Si incrociano i discorsi sul femminismo, la soggettività delle donne e quelli sulla guerra, la denuncia dei danni della guerra, non solo distruzione ma malattie, come il cancro al seno, e la speranza.

C’è commozione da parte nostra e, come dice Emi, ammirazione per queste giovani donne che non si arrendono all’ingiustizia e vogliono prendersi cura di sé stesse, di tutte le donne e della società.

Si aspettano molto da noi… che succede dopo il Forum? Una risposta tra le tante è sostenere la loro attività acquistando le belle cose che producono. Il giorno dopo prendo accordi in questo senso con Dunia, che dirige l’associazione.

Concludiamo la giornata al Conservatorio di Musica Edward Said: è il primo giorno del campo estivo per ragazzini/e a cui anche “Cultura è Libertà” ha contribuito.  Cecilia, che studia musica a Milano, soprano diciannovenne, si esibisce in un’aria dal Don Giovanni. Prima di lei, abbiamo ascoltato un’altra soprano, del Conservatorio, una palestinese di origine russa che ha cantato l’Ave Maria, accompagnata al piano da Alina, pianista, anch’essa di origine russa.

6 giugno – Sessione Plenaria

Il tempo è occupato con la restituzione del lavoro dei workshops da parte di palestinesi e italiane. Tanti i temi: dai diritti delle lavoratrici contro la violenza dei padroni, alla Casa delle Donne, possibile, come spazio comune per le associazioni; dalla cultura come strumento di cambiamento, ai disastri della guerra. Ascoltiamo tutte con attenzione, in una atmosfera di amicizia e di forte solidarietà. C’è il senso di un evento straordinario, pensiamo tutte a come trasmettere le voci, le aspirazioni, i desideri di queste nostre sorelle e a come sostenerle, economicamente e politicamente. Un blocco quasi totale di 15 anni per merci e persone è una punizione collettiva di una crudeltà insostenibile, che ci fa vergognare.

Ma abbiamo fatto un passo avanti per tutte, e c’è l’intenzione di continuare…

Palestina Da Gaza with Love!